L'etnomusicologia è una branca della musicologia e dell'antropologia che studia le tradizioni musicali orali di tutti i popoli, quindi sia la musica popolare che colta. Viene detta anche musicologia comparata, in quanto uno dei suoi fini è il confronto delle musiche dei popoli extraeuropei tra loro e con quelle dei popoli occidentali, anche se tra le due esiste una sottile e determinante differenza. Nacque verso la fine dell’800, in Germania, col nome di musicologia comparata (vergleichende Musikwissenschaft) ed i primi cultori di etnomusicologia furono Béla Bartók, Constantin Brailoiu, Diego Carpitella e Alberto Favara. In Italia, le ricerche sulla musica e sul canto popolare iniziarono molto tardi, verso il 1948, con la fondazione del centro nazionale di studi di musica popolare.
L'etnomusicologia vera e propria nacque negli Stati Uniti, in quanto diverse personalità di rilievo per gli studi di musicologia comparata dovettero esiliare a causa del'avvento del nazismo. Questi studiosi, quindi, crearono uno iato rispetto alle scuole precedenti, che fu sfruttato da un gruppo di studiosi americani per rifondare gli studi sulle musiche del mondo. Per segnalare questa novità nell'approccio scientifico decisero di adottare il termine proposto da Jaap Kunst. L'etnomusicologia si occupa non soltanto della musica in quanto suono, ma anche dei comportamenti necessari a produrla. Fino al 1950 quella che fino ad allora era chiamata musicologia comparata venne detta “etnomusicologia”, ridenominazione che corrispose all'avvento di nuovi metodi di indagine e ad un ripensamento del ruolo assunto dal ricercatore. Fino agli anni ’40, infatti, si dava per scontato che la raccolta di documentazione fosse effettuata sul campo da persona diversa da quella che, in un secondo tempo, l’avrebbe catalogata e analizzata. La progressiva comprensione di quanto siano significativi gli eventi concomitanti a quello musicale portò alla fusione dei due ruoli. L’etnomusicologo, oggi, in molti casi, sente quasi la necessità di diventare un frequentatore abituale della cultura musicale che studia, così da interiorizzare i comportamenti e i valori, da acquisire tutto ciò che è necessario alla sua comprensione.
Uno strumento di supporto per l’etnomusicologia fu il fonografo meccanico (ora sostituito dal registratore magnetico), inventato da Edison nel 1878, per mezzo del quale fu possibile documentare più facilmente, fedelmente e sistematicamente la musica. Prima della sua invenzione era stato possibile raccogliere e studiare soprattutto folklore poetico-narrativo.
Azione di uno studioso di etnometodologia davanti ad un prodotto etnico:
Registrazione;
Trascrizione, con criteri fedeli;
Analisi del contesto: è indispensabile perché la musica è funzionale alle situazioni collettive. È un approccio antropologico, nel senso che si studia la cultura dall’interno;
Analisi del testo: consiste nell’individuare le “logiche di variazione” nel testo di un canto. A questo proposito ricordiamo l’attività di Brailoiu, etnomusicologo e compositore romeno, che dotò l’etnomusicologia di una solida base metodologica, in cui i punti salienti sono il costante riferimento alle rivelazioni fonografiche dirette e l'impiego di strumenti d’indagine musicali, linguistici e sociologici. Il suo metodo consisteva nel prendere la prima versione ascoltata di un canto e nello scriverla su un rigo, mettendo, poi, sotto solo le varianti delle nuove versioni. A trascrizione ultimata notò che esistono “logiche di variazione”. Concluse affermando che se ci sono variazioni negli stessi punti, c’è una libertà esecutiva regolamentata;
Analisi melodica di un brano: consiste nello studio della melodia, delle scale e del ritmo del canto, nonché nello studio del rapporto tra musica e testo;
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